“La prof. di arte mi ha dato un libro per dislessici.”
“Ah, bene! E’ stata gentile…”
“Si, ma io non lo voglio usare. Studio su quello normale.”
“E perché non vuoi usarlo?”
“Perché sono dislessica, non cieca. E nemmeno stupida.”
Questa conversazione, avvenuta tra me e una mia allieva dislessica che frequenta le scuole medie, è stata seguita dall’apertura da parte mia di un libro di testo di arte, prestato da una gentile e premurosa insegnante che, sapendo di avere in classe un’allieva dislessica, ha cercato di aiutarla dandole un libro studiato appositamente per dislessici da una delle più famose case editrici.
Il libro in questione era scritto in carattere 18, aveva le immagini più distanziate di quelle di un normale libro di testo e aveva dei paragrafi in meno. Mi sono immaginata cosa doveva aver pensato l’autore mentre preparava il libro: di certo che i dislessici ci vedono poco… come gli anziani. Poi deve aver pensato che mettere tante immagini in una pagina può confonderli, anche se i ragazzini DSA trovano le icone delle app sul cellulare prima di noi adulti. E infine che i dislessici devono essere un po’ stupidi e che quindi è opportuno togliere dei paragrafi, così devono studiare meno.
Questo episodio è stato per me uno spunto di riflessione sulla disinformazione che circonda i disturbi specifici di apprendimento e si è connesso al ricordo di una frase infelice pronunciata da un’ex collega: “DSA per che cosa sta? Deficiente Senza Appello?”
Se analizziamo l’acronimo DSA (Disturbo Specifico di Apprendimento) possiamo notare che questa sigla contiene preziose informazioni. La parola più importante, a mio avviso, è l’aggettivo SPECIFICO.
Il Sabatini-Coletti, versione online, riporta:
SPECIFICO
agg.
1 biol. Peculiare di tutti gli esseri vegetali e animali appartenenti alla stessa specie: carattere s.
2 estens. Determinato, particolare: nel caso s.; preciso, circostanziato: accusa s.
3 fis. Con riferimento a due grandezze, che è proprio dell’una in relazione all’altra: peso s.
Quella che interessa a noi è la seconda definizione secondo la quale “specifico” è sinonimo di “determinato”, “circostanziato”. Questo significa che DSA fa riferimento ad un problema che è, appunto, circoscritto ad un preciso ambito e che non intacca minimamente la sfera intellettiva globale del soggetto. Tant’è vero che per poter avere una diagnosi legalmente valida di dislessia è necessario che il Quoziente Intellettivo, misurato a tutti coloro che si sottopongono ai test per la dislessia, non sia inferiore ad 85. Personalmente non amo i test per la misura dell’intelligenza: mi sembra che riducano la mente umana ad una macchina, di cui è possibile misurare le prestazioni. Ma al di là delle mie opinioni personali, resta il fatto che se il disturbo non è specifico, ma riguarda le capacità cognitive globali, non si può parlare di DSA. Dunque essere dislessici non significa essere stupidi.
L’etimologia delle parole dislessia, discalculia, disortografia e disgrafia contiene inoltre preziose informazioni. DIS è un prefisso derivato dal greco e significa “cattivo”, “non buono”, ma non in senso morale (non ha nulla a che vedere con l’essere buoni o cattivi), bensì pratico. DIS-LESSICO è colui che legge male, DIS-CALCULICO è colui che calcola male e così via. Dunque le difficoltà visive non c’entrano nulla con la dislessia, così come non c’entrano nulla le difficoltà legate all’affollamento delle immagini o dei concetti nei libri di testo.
Guarda caso, anche la parola “disinformazione” ha lo stesso prefisso…
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